giovedì 15 dicembre 2011

sabato 10 dicembre 2011

perchè Brooklyn si chiama Brooklyn?

gli olandesi arrivarono nella baia di New York e, oltre a fondare New Amsterdam, crearono un piccolo nucleo sulla riva orientale del fiume Hudson. Lo chiamarono BREUKELEN come l'omonima cittadina olandese vicino Utrecht. Breukelen a sua volta in olandese significa "terra dissodata" cioè resa fertile.

venerdì 9 dicembre 2011

mercoledì 7 dicembre 2011



Siamo a Saint Tropez il 12 Maggio 1971.
Mick Jagger e Bianca Rosa Peréz Macias si sono appena sposati con rito cattolico romano nella chiesa di Sant’Anna.
Un fotografo di 32 anni è sul sedile anteriore della Bentley con cui la coppia si sta allontanando e sta documentando il loro viaggio.

Il fotografo si chiama Patrick Lichfield ma all’anagrafe è Thomas John Patrick Anson, quinto conte di Lichfield nonchè cugino della regina Elisabetta II.
Nato nel 1939 Patrick è l'unico figlio maschio del tenente-colonnello Thomas Anson William Arnold. Il padre, a sua volta, è figlio maggiore e prossimo erede di Thomas Edward Anson, quarto Conte di Lichfield. Sua madre invece è la principessa Anna di Danimarca, una nipote di Elisabetta Bowes-Lyon, madre di Elisabetta II.
Nel 1958 il padre muore e nel 1960 muore anche il nonno. A soli 21 anni, Patrick eredita la proprietà di Lichfield e diventa conte.
Patrick studia alle scuole militari di Harrow e Sandhurst e nel 1959 si unisce al corpo dei granatieri. A scuola è l’unico ad avere una macchina fotografica; questo gli permette di trovare un'identità che lo faccia eccellere in un ambiente competitivo come può essere un’accademia militare. Spende sempre tutti i soldi per comprarsi apparecchiature aggiuntive e si dedica spesso a coprire eventi sportivi e teatrali.
Affitta un appartamento a Londra, in Place Wilton, dove costruisce la sua prima camera oscura ed improvvisamente, con grande meraviglia della sua famiglia, nel 1962 lascia l'esercito ed inizia a lavorare come assistente per due fotografi, Dmitri Kasterine e Michael Wallis, incontrati casualmente fuori dal suo palazzo durante uno shooting per uno spot pubblicitario.
Essere cugino della regina e guadagnarsi da vivere come fotografo non aveva precedenti. In realtà però la fotografia è sempre stata una professione d’alta classe: Julia Margaret Cameron, Fox Talbot, Lartigue, Henri Cartier-Bresson, Diane Arbus e Cecil Beaton provenivano tutti da ambienti altamente privilegiati. Tuttavia, gli anni in cui Lichfield sceglie questo mestiere sono anche gli anni in cui nascono fotografi provenienti dalla classe operaia come Terence Donovan, David Bailey, Don McCullin e Brian Duffy che presero d'assalto le riviste di moda e le prime pagine dei giornali.

Patrick segue un apprendistato di tre anni che successivamente descriverà come i più formativi della sua vita; svolge compiti banali ma implicano sempre una conoscenza globale di tutte le fasi di lavoro. A casa chiede alle sue fidanzate di posare come modelle e spesso stampa gli scatti fino a tarda notte appendendo poi i risultati sulle pareti del soggiorno. Offre i suoi servizi per pochi soldi facendo concorrenza ai fotografi della città, si occupa di ritratti e in particolare di fotografie per bambini.
Patrick impara presto la tecnica ed incomincia a costruirsi una reputazione avendo facile accesso alla famiglia reale.
A metà degli anni ’60 le sue fotografie sono presenti regolarmente in The Mirror Sunday, The Daily Express, e la rivista Queen, che gli commissionano i lavori. Incomincia così a guadagnare un ragionevole stipendio.

Un viaggio in Giamaica nel 1966 stuzzica il suo appetito per un lavoro più serio.
Gli viene commissionato un servizio per una rivista inglese sul turismo giamaicano ed il suo compito è esplorare l’isola e fare fotografie dei luoghi che trova interessanti.
Apre un nuovo studio vicino Holland Park e diventa presto un personaggio famoso nella scena culturale di Londra tanto da ricevere un telegramma da Diana Vreeland, editor di Vogue America: chiede la sua disponibilità nel fotografare il Duca e la Duchessa di Windsor nella loro casa alle porte di Parigi.
Patrick non è il tipico esponente di una famiglia reale. Fin dalle prime esperienze con la macchina fotografica mostra un carattere estroverso e disarmante. Quando si trova di fronte alla coppia, la loro espressione rimane impassibile per gran parte dell’incontro ma Patrick vuole assolutamente creare in loro un’emozione. Si fa arrivare una sedia e cade deliberatamente per terra. “Mi chiedevo cosa fare per dare loro qualche espressione, un’espressione di orrore sarebbe stata meglio di niente. Caddi dalla sedia ma loro rimasero assolutamente come piombo. Nè l’uno nè l’altro si misero a ridere.
Riesce comunque a realizzare il servizio secondo il suo intento e le foto che mostra a Vogue sono spontanee e divertite. Firma così un contratto con Vogue America ed incomincia a passare gran parte del tempo a New York. In questo periodo ha infatti l’occasione di fotografare Charlie Chaplin e Marlon Brando dopo la prima proiezione di La contessa di Hong Kong: "In quei giorni i fotografi non erano ammessi in eventi privati. Mi sono avvicinato con la macchina fotografica nascosta sotto il cappotto e sono riuscito a scattare cinque foto prima che venissi buttato fuori."

Nel 1971 la rivista gli chiede di coprire il matrimonio della modella nicaraguense Bianca Rosa Peréz Morena de Macias con la rockstar del momento, Mick Jagger.
La coppia si è incontrata otto mesi prima ad una festa post concerto dei Rolling Stones in Francia. Decidono di sposarsi a St Tropez, località che in una decina d’anni da semplice villaggio di pescatori si è trasformata in luogo di fama internazionale. La sposa è amica di Patrick, e si sospetta una relazione tra i due, mentre Mick Jagger si è trasferito da un paio d’anni in Costa Azzurra, insieme alla band, per avere agevolazioni fiscali.
La giornata è calda e la città è congestionata per l’evento. Gli sposi e gli invitati sono costretti a farsi largo con la forza tra fotografi e turisti in una sorta di combattimento a mani nude. La modella è incinta di quattro mesi e indossa uno scandaloso tailleur bianco accompagnato da un cappello a falda larga con il velo. Lo sposo invece ha un completo chiaro, sobrio ed elegante.
Dopo la cerimonia vengono aiutati a superare la folla e finalmente riescono ad entrare in macchina ed allontanarsi dalla ressa. Patrick, ormai diventato fotografo del jet-set e soprattutto amico della sposa, sale con loro in vettura: "Mick era contentissimo che la funzione religiosa fosse finita. Aprì una bottiglia di champagne e si accese una canna. Io avevo la mia Olympus e scattai".

*

La foto parla da sola.
La capacità di catturare l’informalità e la spontaneità di una situazione è l’enorme qualità di Patrick Lichfield.

Dieci anni dopo, durante la foto ufficiale del matrimonio di Carlo e Diana si inventa un modo per fotografare le loro facce rilassate: "Con la bocca feci il rumore dello scatto e dissi agli sposi di rilassarsi, loro, credendo che avessi già scattato, si rilassarono ed in quell momento scattai. Da allora i due sposi non mi rivolsero più la parola".
Dal 1999 in poi è un pioniere della fotografia digitale a livello professionale e fonda i Digital Lichfield Studios.
Nel 2002 viene chiamato da sua cugina, Elisabetta II, e dal duca di Edimburgo per scattare la foto ufficiale del loro cinquantesimo anniversario di matrimonio.
Nel 2003 Patrick dichiarerà: "A 64 anni, io sono l'uomo più fortunato in vita: sono pagato per svolgere il mio hobby da 45 anni. A volte mi sveglio la mattina e penso che è un altro giorno fantastico. Non sto facendo nulla che io non voglia fare. È fantastico! Che vita!

Il 10 novembre 2005, Patrick Lichfield viene colpito da un grave ictus ed il giorno seguente muore al John Radcliffe Hospital di Oxford all’età di 66 anni.
Verrà ricordato per aver sfidato i confini di classe e per aver seguito l’ambizione artistica oltrepassando le regole della famiglia. Un esempio pratico degli ideali che i giovani della sua generazione urlavano per le strade alla fine degli anni ’60.

domenica 20 novembre 2011

venerdì 18 novembre 2011

perchè le Alpi si chiamano Alpi?

gli antichi Romani si trovarono di fronte ad altissime montagne innevate, caratterizzate dal loro colore bianco, ALBUS in latino, e per questo le chiamarono Alpi.

giovedì 17 novembre 2011

perchè IKEA si chiama IKEA?

Il 30 Marzo 1926 nacque in una fattoria di Agunnaryd, un piccolo villaggio svedese vicino a Ljungby, un bambino di nome Ingvar Kamprad. Questa zona è densa di foreste e senza alcun sbocco sul mare, tutta l'economia era basata sul legno degli alberi.
Il bambino era dislessico ed incominciò fin da piccolo a vendere fiammiferi ai suoi vicini di casa con la sua bicicletta. Dai fiammiferi passò poi alle decorazioni per alberi di Natale, alle semenze da giardino ed infine alle penne a sfera.
Con i soldi guadagnati fondò e lentamente fece crescere uno stabilimento (dove vendeva penne, portafogli, cornici, orologi, gioielli, calze di nylon e altri prodotti a basso prezzo) che chiamò IKEA, acronimo di Ingvar Kamprad (suo nome e cognome), Elmtaryd (nome della fattoria dove nacque), Agunnaryd (il villaggio natale).
Ora quel bambino ha 84 anni ed è tra i cinque uomini più ricchi del mondo.

martedì 15 novembre 2011



Siamo a Nasir Bagh, un campo profughi vicino a Peshawar, nel Pakistan del Nord.
E’ il 1984 e da qualche anno la Russia ha occupato militarmente l’Afghanistan obbligando milioni di persone a spostarsi nel confinante Pakistan.
In una scuola elementare improvvisata decine di bambini stanno imparando a leggere e scrivere mentre un fotografo americano di 34 anni sta facendo una foto ad una bambina di 12 anni.

L’uomo si chiama Steve McCurry ed è un fotoreporter del National Geographic.
Nato a Philadelphia nel 1950, da giovane è un forte appassionato di cinema e teatro e a 24 anni ottiene una laurea con lode in Teatro e Cinematografia presso la Pennsylvania State University. Dopo la laurea parte per l’Europa con lo scopo di visitare il vecchio continente. Si mantiene lavorando nelle cucine come aiuto cuoco, si sposta molto, da Amsterdam a Stoccolma, e scopre nuovi paesi e nuove lingue. L’esperienza di viaggio gli apre nuovi orizzonti e gli fa cambiare idea sul suo sogno iniziale di fare il regista.
Al suo ritorno in America inizia a collaborare con un quotidiano locale di un sobborgo di Philadelphia in qualità di fotografo e tre anni dopo decide di partire per l’India ed incominciare una carriera da freelance. Il suo obiettivo è realizzare servizi geo-politici per i periodici. Dopo un avvio lento, McCurry arriva in breve tempo alla ribalta internazionale.
Nel maggio del 1979 incontra nel Nord-Ovest del Pakistan alcuni profughi afghani che lo informano di una guerra imminente nel loro paese. Si traveste da afghano, nasconde le pellicole fotografiche cucendole all’interno dei suoi vestiti e passa il confine entrando in Afghanistan. Dopo aver trascorso alcune settimane con i ribelli mujaheddin, schivando l’artiglieria dell’esercito di giorno ed evitando le mine durante i trasferimenti notturni attraverso le montagne afghane, McCurry riesce a scattare delle foto e tornare in Pakistan con tutti i suoi rullini. Quando la sua fotografia dei combattenti mujaheddin che controllano il passaggio dei convogli russi viene pubblicata sul New York Times, McCurry diventa famoso in tutto il mondo.

L’intrepido fotografo cui si devono le rare immagini di un conflitto nascente riceve presto altri incarichi dalle principali riviste.
Nel 1980 segue la guerra in Afghanistan per Time e viene premiato con la prestigiosa medaglia d’oro Robert Capa per il miglior reportage fotografico realizzato all’estero con straordinario coraggio e spirito d’iniziativa. McCurry inizia quindi a collaborare con National Geographic, che gli garantisce le risorse e il tempo necessari per realizzare servizi approfonditi.

Per uno di questi servizi si reca al campo profughi di Nasir Bagh. E’ un mare di tende e Steve ha difficoltà ad orientarsi. Un po’ isolata dal resto delle altre tende si trova la scuola, anch’essa in un tendone. Diversi bambini stanno seguendo una lezione.
Steve chiede alla maestra se può fotografare e lei lo permette.
Una bambina su tutte salta agli occhi del fotografo. E’ molto timida e bellissima, i suoi occhi verdi quasi lo ipnotizzano.
Chiede ai bambini di poter scattare loro delle fotografie e riesce a fare diversi ritratti. Per ultima chiama la bambina dagli occhi verdi. Nonostante la diffidenza, lei gli permette di scattarle una foto.

*

Steve McCurry scatta la foto con una pellicola per diapositive a colori Kodachrome e con una macchina fotografica Nikon FM2. L’obiettivo montato è un 105mm f2.5.
L’immagine mostra il viso della bambina con una sciarpa rossa drappeggiata liberamente sopra la testa e con i suoi occhi verde mare fissi sulla fotocamera.
Quando la foto viene consegnata alla redazione del National Geographic, subito capiscono dalla forza dello sguardo che l’immagine è fuori dal comune. Decidono di metterla in prima pagina sul numero di Giugno del 1985.
Diventa in questo modo un simbolo sia del conflitto afgano, sia della situazione dei rifugiati in tutto il mondo. Per il National Geographic la foto diventa un’icona e successivamente verrà nominata come "la fotografia più riconosciuta" nella storia della rivista.

L'identità della ragazza rimane sconosciuta per 17 anni fino a quando, nel 2002, Steve ed un team del National Geographic si recano di nuovo in Afghanistan alla ricerca della donna. Il fotografo ha già fatto diversi tentativi nel corso degli anni ’90 per ritrovare la donna ma, con il governo talebano che è andato al potere, non riesce nell’impresa.
Al campo profughi oramai ci sono pochissime persone, quasi tutti sono tornati nei loro villaggi afghani. Il gruppo di ricercatori intervista le ultime persone ed un uomo, che conosceva il fratello della donna, rivela loro il paese natale della famiglia, vicino Tora Bora.
Dopo tre giorni di viaggio la squadra arriva nella remota regione dell’Afghanistan e Steve McCurry si ritrova finalmente di fronte alla donna.

Si chiama Sharbat Gula.
Nel 1984 il villaggio dove Gula abitava con i genitori venne attaccato da elicotteri da combattimento sovietici. Rimasta orfana a sei anni, insieme ai fratelli ed alla nonna, si rifugiò sulle montagne nascondendosi nelle caverne e dopo qualche settimana entrò nel campo profughi di Nasir Bagh in Pakistan.
Alla fine degli anni ’80 sposò Rahmat Gul e nel 1992 ritornò in Afghanistan con il marito e le sue tre figlie.
Il tempo, la miseria e le difficoltà hanno cancellato la sua giovinezza. La sua pelle sembra diventata cuoio ma gli occhi verdi ancora abbagliano.
Steve McCurry vuole farle di nuovo una foto. Questa volta la situazione paradossalmente è più complicata: una donna sposata non può guardare negli occhi un uomo che non sia suo marito ed ovviamente non può sorridergli.
Il marito però acconsente alla foto.

*

Gula non sorride. La sua espressione rimane piatta ma i suoi occhi verdi richiamano quelli che tutto il mondo ormai conosce.

McCurry oggi vive a New York ed offre workshop di fotografia in America e all’estero.

lunedì 14 novembre 2011

domenica 2 ottobre 2011

sabato 1 ottobre 2011



Siamo a New York nel 1974.
E’ il 29 Agosto ed il cielo a mezzogiorno è coperto da nuvole passeggere.
Un fotografo è sul tetto di un palazzo sulla East Street e sta fotografando un uomo di 34 anni in posa di fronte a lui.

Il fotografo si chiama Bob Gruen ed è nato a New York 29 anni prima.
A 19 anni decide di lasciare la casa di famiglia ed andare in affitto nel Greenwich Village in un appartamento da condividere con i componenti di una band folk-rock, i Glitterhouse.
Con il tempo i ragazzi fanno amicizia e Bob li segue nelle uscite notturne in Bleecker Street, frequentando il Gas Light ed il seminterrato di Figaro. Insieme ascoltano molta musica ed assistono a molti concerti rock. Bob ama già la fotografia e continua a fotografare i membri del gruppo sia a casa sia durante i loro concerti.
Una sera assiste al Newport Folk Festival al concerto di Bob Dylan. E’ un grande fan del cantautore e pur di vederlo suonare da vicino chiede ingenuamente un pass da fotografo all’organizzazione. Una volta che il musicista inizia a cantare, Bob incomincia a fotografare da sotto il palco e non smette per tutto il concerto.
Nell’arco di un anno continue discussioni tra i membri dei Glitterhouse minano la solidità della band, l’atmosfera è pesante e si rischia di non poter più parlare del gruppo.
Nel 1965 viene offerto loro un ultimo concerto: 100 dollari per suonare ad una festa in St. Marks Place in occasione dell’inaugurazione di un nuovo negozio di acconciature di Paul McGregor. Alla serata è presente anche Bob Crewe, un grande produttore discografico, che presenta l’uscita del suo nuovo libro. Appena sente suonare i Glitterhouse se ne innamora e decide di produrli.
Il gruppo viene così chiamato per cantare nella colonna sonora del film Barbarella che Bob Crewe sta producendo e quando il singolo sta per uscire devono scattare la foto di copertina. Chi meglio del loro amico e coinquilino Bob può far emergere la spontaneità dei quattro musicisti?
A Bob Rolontz, il pubblicista della Atlantic Records, le foto piacciono molto e decide di assegnare al giovane fotografo altri lavori: un concerto di Tommy James & the Shondells e la celebrazione del decimo anniversario dei Bee Gees.
Lentamente, giorno dopo giorno, Bob viene assunto per realizzare altre fotografie. Le immagini piacciono a tutti ed in poco tempo riesce a crearsi un giro di conoscenze e di contatti. Documenta i concerti di Ike e Tina Turner, diventa loro amico e viene presentato ai loro conoscenti. Incontra così Patti Smith e segue il primo tour americano di Elton John. Ogni volta che il musicista inglese suonerà negli USA chiamerà sempre Bob.
Nel 1972 un giornalista che sta scrivendo un libro-intervista su John Lennon e Yoko Ono chiede a Bob la disponibilità a scattare delle foto ai due artisti. Il fotografo così incontra la coppia e nasce tra i tre una forte intesa.

Nel 1974 John Lennon sta lavorando sul suo ottavo album da solista, Walls and Bridges.
E’ una situazione delicata per John perché gli ultimi due dischi sono stati un fallimento commerciale. D’altronde dopo l’uscita di Imagine è difficile ripetere il capolavoro. Da mesi inoltre si è trasferito in California sospendendo la sua relazione con Yoko e godendosi una vita di eccessi.
Nel mese di Agosto torna a New York per riflettere un po’ e vivere in una città dove da sempre la gente lo ha sempre trattato da persona normale. Deve anche terminare le registrazioni e soprattutto ha bisogno di una foto da distribuire alla stampa per l’uscita del disco.
John ha già lavorato con Bob Gruen, sa che scatta in modo veloce e che lo shooting si sarebbe svolto in un’atmosfera rilassata. Per la foto quindi chiama proprio il suo amico.

Il 29 Agosto è una bella giornata di sole.
Il fotografo decide di ambientare gli scatti sul tetto dell’attico che John ha in affitto sulla East Street. John ha bevuto un sacco di caffè ed ora sta fumando la sua Gauloises.
Bob arriva con in mano una maglietta bianca appena comprata su un marciapiede per 5 $. Sopra in nero c’è scritto NEW YORK CITY.
Chiede a John di indossarla ma prima gli taglia le maniche con un coltello.

*

Uno dei primi scatti mostra un Lennon pallido e serio con le braccia incrociate sul petto e la scritta bene in evidenza.
John non è molto convinto né della maglietta né delle maniche tagliate.
Decide quindi di indossare la sua giacchetta di jeans e di scattarne altre.

Sei anni dopo, quando John viene assassinato, viene organizzata una veglia funebre a Central Park. Milioni di persone partecipano onorando e ringraziando il grande artista.
Viene scelta un’immagine su tutte. Quella con la maglietta di New York.
John aveva combattuto per rimanere a New York ed è stato ucciso proprio qui. Era evidente il suo amore per la città ed anche la città lo amava. Da quel giorno la fotografia divenne così popolare che non ci fu modo di fermarla”. Yoko Ono

Oggi Bob Gruen vive con la moglie, Elizabeth, nel Greenwich Village di New York e continua a scattare foto alle più importanti rock star del momento.





mercoledì 14 settembre 2011

venerdì 9 settembre 2011

mercoledì 7 settembre 2011



Siamo a Berlino il 15 Agosto del 1961.
Da due giorni il governo comunista della DDR, la Germania dell’Est, ha deciso di costruire un muro di cemento alto circa tre metri per isolare la zona Ovest di Berlino, governata da americani, inglesi e francesi.
In questa fase di costruzione, il muro di Berlino è ancora un basso recinto di filo spinato. Giornalisti e fotografi si spostano lungo la spaccatura per raccontare ciò che succede.
Anche un giovane fotografo di 20 anni si trova lì, nella zona ovest della città, e sta documentando queste giornate di agitazione civile.

Il fotografo si chiama Peter Leibing ed è nato nella città tedesca di Oerel a circa 100 km ad Ovest di Amburgo.
Dopo gli studi ordinari, la passione per la fotografia lo invoglia ad abbandonare il suo apprendistato presso la Siemens e inizia a fare praticantato presso una piccola agenzia fotografica di Amburgo. Più volte viene mandato a realizzare quei servizi che altri fotografi dell'agenzia si rifiutano di fare: le corse di cavalli al Derby Jumping.
A Peter non piace fotografare cavalli, preferirebbe documentare l’attualità o realizzare reportage. Dopo richieste insistenti, il ragazzo viene mandato, insieme ad altri fotografi, a documentare ciò che sta succedendo a Berlino durante l’estate del 1961. “Al massimo tornerà indietro con una pellicola impressa da scatti inutili e banali” pensa il responsabile dell’agenzia.

Il 13 Agosto Peter parte dunque da Amburgo ed arriva in aereo nella capitale tedesca.
L'atmosfera è tesa: migliaia di soldati della Germania dell’Est sono stati chiamati per costruire una barriera affinchè la popolazione non riesca a raggiungere Berlino Ovest senza permesso.
La città è in stato di shock, militari con le mitragliatrici in mano, filo spinato che già disegna una cortina da non superare e dall’altra parte increduli abitanti della Berlino Ovest.
Il giovane Leibing viene a sapere dal portavoce stampa per la polizia di Berlino Ovest che probabilmente nei giorni seguenti in Bernauer Straße potrebbe succedere qualcosa di interesssante.
Il giorno di Ferragosto, Peter raggiunge con l’autobus la strada ad angolo con Ruppiner Straße e lì si ferma incuriosito da un gruppo di giornalisti.
Sul lato destro della strada, appoggiato ad un muro, un soldato fuma una sigaretta mentre sul lato sinistro due suoi compagni pattugliano la strada. Il fotografo ed i soldati sono separati da una bassa rete di filo spinato.
Si respira tensione e probabilmente sta per succedere qualcosa.
Molte persone dal lato occidentale stanno gridando “Komm rubber!” ("Attraversate!"), nel tentativo di persuadere i propri concittadini ad abbandonare le proprie case ed il pericoloso governo comunista per trasferirsi urgentemente nel settore Ovest.
Peter monta la macchina fotografica con un obiettivo Exacta da 200mm (prodotto dalla DDR) e mette a fuoco sul filo spinato. Aspetta per ore un movimento sospetto ma non succede nulla. Il soldato appoggiato al muro consuma una sigaretta dopo l’altra e sembra molto nervoso.

Verso le 16 il militare sulla destra rimane da solo. I due colleghi si sono allontanati. Improvvisamente, senza esitazioni, getta via la sigaretta e, con un movimento veloce e poco elegante sopra il filo spinato, riesce a scavalcare la recinzione lasciando cadere il fucile che trasportava sulla spalla destra. Potrebbe morire da un momento all’altro, sparato dai suoi colleghi, ma lui corre il più velocemente possibile.
Leibing è proprio di fronte alla scena con la macchina fotografica al collo.
L’esperienza praticata al Derby Jumping fotografando i salti dei cavalli da corsa gli ha insegnato a scattare correttamente, scegliendo il momento giusto ed utilizzando un solo negativo.
Tutto quello che ha imparato lo mette in pratica proprio in quel momento.

*

La foto mostra il soldato nell’atto di scavalcare la rete. Ha lo stivale destro teso sopra il filo spinato e la gamba sinistra piegata all’indietro. Sembra quasi in equilibrio.
Si tratta di Conrad Schumann, un militare di 19 anni a servizio della DDR e poche ore prima è stato costretto ad impedire ad una famiglia il ricongiungimento con i propri cari, rimasti ad Ovest.
Una volta entrato in territorio occidentale, Schumann sale dentro un minibus della polizia in attesa a poca distanza. Probabilmente sono venuti a conoscenza delle sue intenzioni e si sono preparati per prelevarlo e salvargli la vita.
Conrad diventa così un rifugiato politico e dovrà aspettare la caduta del muro per poter tornare nell’Est.

Leibing nel frattempo non è consapevole dell’importanza della foto.
Subito dopo lo scatto, un fotografo del giornale Bild, che non è riuscito a cogliere il momento della fuga, convince Peter ad accompagnarlo alla sua redazione. Sviluppano il rullino e si accorgono che la foto è perfetta.
L'immagine appare quindi il 16 Agosto 1961 in piena pagina sul giornale Bild.
Il salto diventa in breve tempo una delle icone-simbolo della Guerra Fredda: a fuggire infatti non è un semplice cittadino, ma un soldato il cui compito è proprio quello di evitare fughe dall'Est verso l'Ovest.

Nel 1970 Conrad Schumann si trasferisce in Baviera e si sposa.
Svolge diversi mestieri (l’infermiere, il muratore, l’operario nella fabbrica dell’Audi) cadendo più volte nella depressione e nell'alcolismo. La Stasi infatti continua a fare pressioni sulla famiglia costringendola a scrivergli lettere e lanciare appelli per farlo tornare.
Stringe un forte legame con Peter Leibing e spesso si incontrano con le rispettive mogli.
In un’intervista Leibing rivela che Schumann era fuggito per non trovarsi in una situazione in cui sarebbe stato costretto a sparare alla gente; in più, negli anni seguenti continuava a sentirsi perseguitato dalla Stasi ed aveva sempre paura.

Nel 1989, dopo la caduta del muro, Conrad rimette piede nell’Est ma i suoi parenti si rifiutano di incontrarlo.
"Sono ancora orgoglioso di quello che ho fatto, non c'era altra possibilità, anche se ho corso un grande pericolo e ho tagliato ogni ponte col mio passato: ho perso la famiglia, gli amici, il lavoro, tutto".
Il 20 Giugno del 1998 infine si suicida impiccandosi ad un albero di un bosco non lontano dalla sua casa di Kipfenberg, il villaggio della Baviera dove viveva da molti anni con la moglie. La famosa foto era appesa alla parete della stanza da pranzo.

Leibing non ha mai ricevuto soldi per questo scatto.
Oggi vive a Bremervörde e la sua foto è diventata simbolo del mondo libero.

lunedì 5 settembre 2011

venerdì 2 settembre 2011



Siamo a Pechino il 5 Giugno del 1989.
Tutti i regimi comunisti d’Europa stanno capitolando e l’ondata rivoluzionaria ha raggiunto anche la Cina. Da mesi nella capitale scoppiano rivolte di studenti, intellettuali ed operai contro il governo cinese, il quale, il 4 Giugno, decide di reprimere brutalmente la protesta massacrando centinaia di civili in piazza Tienanmen.
Un fotografo di 33 anni è davanti alla finestra della sua camera, al sesto piano di un hotel affacciato sulla piazza, a seguire quello che succede.

Il fotografo si chiama Jeff Wiedener ed è nato a Long Beach in California nel 1956.
La fotografia è da sempre la sua passione e compie gli studi seguendo quest’unica direzione. A soli 18 anni riceve il Kodak Scholastic National Photography Scholarship, battendo 8.000 studenti provenienti da tutti gli Stati Uniti. Il premio include anche una visita di studio dell'Africa orientale.
A Los Angeles frequenta il Pierce College e successivamente il Moorpark College dove si specializza in fotogiornalismo. Nel frattempo, a 22 anni, Jeff inizia a lavorare come fotografo in un giornale californiano e lentamente riesce a farsi conoscere anche nello stato del Nevada e dell’Indiana.
A 25 anni accetta una posizione a Bruxelles come fotografo per la United Press International. Il suo primo incarico fu la rivolta in Polonia del 1981.
Nel corso degli anni ricopre incarichi in oltre 100 Paesi coprendo disordini civili e guerre per questioni sociali.
Nel 1988 viene assunto come Associated Press Picture Editor per il sudest asiatico, dove riesce a seguire importanti avvenimenti della regione, compresa la guerra del Golfo e le Olimpiadi di Seul.

Nel giugno del 1989 Wiedener si trasferisce a Pechino. Sono in atto le proteste contro il governo e dopo qualche mese le autorità hanno deciso di reagire. Nella notte del 3 Giugno Jeff è presente mentre la folla manifesta violentemente lungo il Chang Ahn Boulevard. Viene ferito da un sasso vagante che lo colpisce alla testa ma la sua Nikon F3 in titanio assorbe il colpo e gli salva la vita.
Due giorni dopo, il teatro d’azione è la grande Chang'an Avenue, vicinissima a Piazza Tienanmen, e la strada che porta verso la Città Proibita di Beijing.
Il governo cinese ha ordinato ai carri armati di entrare in azione contro i ribelli ed i cingolati fanno ingresso nella piazza.
La stampa è tutta alloggiata presso l’hotel affacciato sullo slargo e da diverse ore telecamere e giornalisti seguono le operazioni dalle loro camere. Anche Jeff Wiedener è lì con loro.
Un ragazzo con la camicia bianca si allontana dalla folla e lentamente si incammina in direzione dei mezzi militari. Tiene una busta nella mano sinistra e la giacca nella mano destra.
Appena i carri armati giungono allo stop il ragazzo sembra volerli fermare.
In risposta, i carri armati provano a girargli intorno, ma il giovane li blocca più volte, mettendosi di fronte a loro ripetutamente, adoperando una resistenza passiva.
Dopo aver bloccato la colonna di carri armati il ragazzo si arrampica sulla torretta del primo carro ed incomincia a parlare con il guidatore.
Diverse sono le versioni su cosa si siano detti: "Perché siete qui? La mia città è nel caos per colpa vostra"; "Arretrate, giratevi e smettetela di uccidere la mia gente"; "Andatevene!".
Successivamente il ragazzo torna di nuovo davanti al mezzo militare per bloccarlo ed è proprio in quel momento che Jeff Wiedener scatta una foto. E’ lontano circa 1 Km dalla piazza ed ha un obiettivo da 400mm.

*

Dopo diversi minuti in cui il giovane ed il militare discutono animatamente arriva una persona in bici seguita da altre cinque a piedi le quali portano via di forza il manifestante.

La fotografia raggiunge tutto il mondo in brevissimo tempo. Diventa il titolo di testa di tutti i giornali e delle maggiori riviste ed il ragazzo diventa il personaggio principale di innumerevoli articoli in tutto il mondo.
Wiedener un anno dopo è finalista nel premio Pulitzer e la sua foto ora è ampiamente considerata una delle immagini più riconosciute al mondo.

Trovandosi molti giornalisti e fotografi di fronte a quella piazza in quel momento, esistono più versioni della stessa foto.
Una seconda immagine, scattata minuti prima di quella di Wiedener e con una visuale più ampia, è quella del fotografo inglese Stuart Franklin, della Magnum Photos.
Ma l’immagine premiata con il World Press Photo del 1989 è stata scattata, probabilmente nello stesso istante di quella di Franklin, dal fotografo statunitense Charles Cole che lavorava per Newsweek.
Charles Cole sa che il Public Security Buro è presente a supervisionare l’evento e si aspetta un controllo nella camera d’albergo. Subito dopo aver scattato la fotografia estrae dalla sua Nikon il rullino e corre a nasconderlo nello scarico del water. Dopo dieci minuti di attesa il Public Security Buro irrompe nella camera di Cole e, dopo averlo picchiato e minacciato, sequestra alcuni rullini che il fotografo aveva scattato la notte precedente. Soddisfatti per aver pulito le prove, escono dalla stanza d’hotel senza perquisire il bagno.
E’ quindi certo che l’immagine che vinse il Word Press Photo del 1989 galleggiava nell’acqua di uno scarico del cesso.

Si sa poco invece dell'identità del rivoltoso.
Dopo l'accaduto la rivista britannica Sunday Express rivela si tratti di Wang Weilin, uno studente di 19 anni, ma la veridicità dell'informazione resta comunque incerta.
Ci sono inoltre diverse versioni a proposito di ciò che è successo al ragazzo dopo la dimostrazione. In un discorso al Circolo Presidenziale del 1999, Bruce Herschensohn, uomo molto vicino al presidente Nixon, disse che fu ucciso 14 giorni dopo la manifestazione; altre versioni ipotizzano che fu giustiziato pochi mesi dopo da un plotone d'esecuzione.
Il governo della Repubblica Popolare Cinese, oltre a censurare ancora adesso la foto e a negare il massacro, continua a dare poche informazioni a proposito dell'incidente.


Stewart Franklin


Charlie Cole


http://youtu.be/qq8zFLIftGk/>

mercoledì 31 agosto 2011

sabato 27 agosto 2011

 

Siamo ad Anzano del Parco, un piccolo comune in provincia di Como. E’ l’Agosto del 1975 ed un giovane fotografo di 29 anni sta scattando qualche foto in un bosco nei dintorni del paese. Si chiama Cesare Montalbetti ma da tutti conosciuto come Caesar Monti. 

 Cesare nasce a Milano nel 1946. Ultimo di tre fratelli vive con la famiglia in una casa modesta in via Stendhal, in piena periferia milanese. Trascorre la giovinezza in una Milano appena uscita dalla guerra tra tuffi nell’Olona, avventure nelle cascine poco lontane e sospiri nel guardare le giovani mondine lavorare nei campi di riso. Il padre è un mutilato di guerra e per questo, fin da piccolo, Cesare si guadagna da vivere facendo il fattorino in un ufficio del centro. Dopo il lavoro frequenta le scuole serali ma a casa fa fatica a studiare: suo fratello Pietro ha appena fatto amicizia con Lucio, un ragazzo che si è da poco trasferito con la famiglia nel confinante quartiere del Giambellino ed i due non fanno altro che suonare, sentire dischi e parlare di musica mentre Cesare cerca di concentrarsi. Dopo un primo momento di antipatia, Cesare incomincia lentamente a fare amicizia con questo ragazzo di soli tre anni più vecchio di lui e si scoprono molto simili. 

Nel 1969 Cesare viene chiamato a svolgere il servizio militare a Viterbo. Ha la fortuna di lavorare in un ufficio dalle 8 alle 12 con il compito di curare la rivista dell’aereonautica, dopodiché è libero. Durante una licenza a Milano, per 25.000 Lire si compra una macchina fotografica e nel tempo libero comincia ad andare in giro per far pratica. Finito il servizio militare, dove aveva scoperto la passione della sua vita, se ne va per sei mesi a Londra e lì mette a frutto il suo talento: lavora prima come assistente di Romano Cagnoni, uno dei fotografi della prestigiosa Agenzia Magnum, poi di Harry Peccinotti per la rivista “Tween”, e diventa successivamente assistente di un collaboratore dei Beatles e della etichetta discografica Apple, Clay Ragazzini, grazie al quale viene introdotto nel mondo delle copertine dei dischi. Nel 1971 torna in Italia. Suo fratello Pietro è ormai diventato il chitarrista di un gruppo famoso chiamato Dik Dik mentre il suo amico Lucio sta uscendo con il suo quarto disco ed è da tutti ormai noto come Lucio Battisti

A Milano, in piazza San Babila, Renato Artusi ha uno studio dentistico e molti personaggi dello spettacolo, tra cui Battisti e Tony Renis, vanno a farsi curare da lui (gratis). Anche Cesare frequenta lo studio, che nel frattempo si è ormai trasformato in un punto d’incontro tra amici, e spesso chiede in prestito a Renato la sua Hasselblad. Il dentista la usa raramente mentre il giovane fotografo ha la possibilità di fare esperienza sul medio formato ed usufruire della camera oscura improvvisata nello studio. Incomincia così anche a sviluppare e stampare. Era diventato un maestro del bianco e nero, grazie alla breve pratica fatta a Londra con David Bailey (il celebre marito di Catherine Deneuve, ispiratore del film Blow Up) che gli aveva insegnato a stampare con una tecnica d’avanguardia. La sua prima commissione gli viene data dalla Ricordi per il disco dei Dik Dik, nei quai figura il fratello Pietro, “Suite per una donna assolutamente relativa”. Quando gli telefonano dalla Ricordi per chiedergli come volesse firmare la sua prima opera, Cesare è in compagnia di Lucio. In dubbio se usare il suo vero cognome, stanco di interpretare il ruolo di fratello minore, si rivolge a Lucio per chiedergli consiglio. Battisti risponde: “Chiamati Cesare Monti. Anzi, mejo Caesar Monti”. Così nascono il suo nome d’arte e la sua nuova professione. 

Inizia la sua attività nel mondo discografico quale concept-creative fotografo curando diversi progetti per la Ricordi, la Numero Uno, la Cramps, la Trident, la Produttori Associati, la Polygram, l'RCA Italiana, la CBS, l'EMI Italiana, l'Ascolto, l'Ultima Spiaggia, la Sony e la WEA. Tra gli artisti le per i quali studia e realizza le copertine, assieme alla sua compagna nella vita e nel lavoro Wanda Spinello, ci sono Lucio Battisti, l'Equipe 84, la Premiata Forneria Marconi, il Banco del Mutuo Soccorso, la Formula 3, Ivano Fossati, Oscar Prudente, Adriano Pappalardo, Bruno Lauzi, i Dik Dik, Edoardo Bennato, Enzo Jannacci, Pino Daniele, Mia Martini, Eugenio Finardi, Angelo Branduardi, Fabrizio De Andrè e molti altri. 

Nel 1975 Lucio sta lavorando nel suo studio di registrazione di Anzano del Parco. E’ il suo decimo album ma si trova in un momento particolare della sua carriera, in lotta con la stampa e con il pubblico, e decide di non farsi più fotografare se non dal fotografo della Numero Uno Cesare Montalbetti e quasi esclusivamente per le copertine dei dischi. E’ evidentemente un set quello che si è ricreato in un bosco della Brianza, proprio di fianco allo studio di registrazione, ed il soggetto è proprio Lucio Battisti che si muove nervoso indossando camicia e pantaloni bianchi sopra una muta da sub. Intorno a lui sono state riempite delle pozzanghere allagando il terreno. Lucio deve correre attraverso l’acqua in modo tale che i suoi passi creino schizzi da una parte e dall’altra del suo passaggio. Questa è l’idea di Cesare che vuole fotografare Lucio proprio mentre compie questa operazione. L’effetto dell’acqua sollevata dalla corsa però non sembra sufficiente e una decina di solerti collaboratori vengono incaricati di un fitto lancio di sassi nelle pozzanghere. Deve ripetere la corsa un centinaio di volte, scivolando e cadendo. Una caduta in particolare è molto pericolosa perché rischia di battere la testa contro un masso. Ma rialzandosi in piedi Lucio Battisti dice: “Aoh! C’ho er fisico!”. Una delle innumerevoli foto scattate risulta perfetta. 

*

I tre giorni seguenti Lucio rimane a letto completamente distrutto. Qualche mese dopo il disco esce nei negozi. Si intitola “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera” ed ottiene un enorme successo di pubblico. Tra le sue canzoni si ricorda Ancora Tu, il singolo più venduto di quell’anno. 

domenica 21 agosto 2011



Siamo a New York ed è il 29 Settembre del 1932.
L’ RCA Building del Rockefeller Center sta per essere completato ed i lavori sono ormai arrivati al 69° piano.
Un fotografo di 27 anni ha raggiunto il cantiere all’ultimo piano e sta fotografando gli operai ad un’altezza di 260 metri.

Il ragazzo si chiama Charles Clyde Ebbets ed è nato a Gadsden, in Alabama.
La passione per la fotografia nasce già ad otto anni quando si compra la sua prima macchina in un negozietto locale addebitando tutto sul conto della madre.
All’età di quindici anni trova lavoro come fotografo di scena a St. Petersburg, in Florida, dove si stanno realizzando i primi lavori del cinema americano. Frequentando questo mondo, e diventato oramai maggiorenne, viene incaricato anche per interpretare ruoli d’azione vestendo i panni di un avventuroso cacciatore africano in diversi film.
Oltre al suo impegno fotografico, per tutti gli anni '20 si alterna in molti altri lavori avventurosi come il pilota di auto da corsa, il lottatore di wrestling e il cacciatore.
Negli anni ‘30 Charles è già un noto fotografo ed i quotidiani più importanti di tutto il paese, compreso il New York Times, pubblicano le sue immagini.
Nel 1932 Ebbets viene nominato direttore fotografico per il Rockefeller Center. Il suo compito è quello di seguire tutte le fasi della costruzione, fotografare gli stati di avanzamento ed i lavori del grattacielo che lentamente si concretizza nei cieli di New York.

A fine Settembre i lavori sono quasi conclusi. Il palazzo è arrivato al penultimo piano e Charles non vuole perdere l’occasione per fotografare la città dal punto più alto.
E’ ora di pranzo il 29 Settembre del 1932 e gli operai prendono una pausa dai lavori per mangiare il pasto portato da casa.
Ebbets è lì con loro e scatta un paio di foto ad undici uomini che lavorano al cantiere. Sono seduti su una trave di acciaio e mangiano con i piedi penzolanti. Sullo sfondo il Central Park.

*

Alcuni fumano, altri aprono i contenitori per il cibo, altri ancora bevono.
Sono tutti piuttosto allegri e probabilmente consapevoli di essere sotto gli occhi attenti di un fotografo.
Dopo il pranzo, gli stessi uomini si sdraiano in equilibrio sulla trave e si riposano. I corpi si incastrano per assicurarsi tra loro e non cadere.
Ebbets è sempre presente e, dalla stessa posizione, scatta una seconda fotografia.
L’immagine del pranzo sopra il Rockfeller Center appare nel supplemento fotografico domenicale del New York Herald Tribune il 2 ottobre 1932.

Fino all’Ottobre del 2003 l'Archivio Bettman, proprietario del copyright, non riconosce a Charles Ebbets la paternità dell’immagine. Addirittura viene spesso erroneamente attribuita a Lewis Hine, il quale, un anno prima, aveva seguito e documentato la costruzione dell'Empire State Building.
L’esatta associazione foto-autore avviene solamente quando Corbis (che nel frattempo ha rilevato l’Archivio Bettman) invita chiunque avesse fatto una foto dell’archivio o era raffigurato nella collezione, a contattare la società.
La moglie e la figlia di Ebbets si presentano alla Corbis per portare le prove della paternità della foto. Mostrano centinaia di negativi scattati durante i lavori del grattacielo, foto e ritagli di giornali, documenti di assicurazione contro incidenti avvenuti in cantiere ed una foto che ritrae lo stesso Ebbets accovacciato mentre realizza il famoso scatto.

Negli anni ci si è sempre domandato chi fossero gli uomini catturati dall’obiettivo di Ebbets. Si è sempre creduto fossero italiani ma negli ultimi anni i discendenti o i parenti degli operai hanno fornito la loro vera identità.
Il quarto uomo da destra è stato identificato da un nipote di Francis Michael Rafferty e alla sua destra è seduto il suo migliore amico Stretch Donahue.
Gli uomini di estrema sinistra e di estrema destra sono Matty O'Shaughnessy e Patrick Glynn, entrambi provenienti dalla Contea di Galway, in Irlanda.
Il terzo da sinistra è Austin Lawton di King’s Cove nel Newfoundland in Canada ed anche il quinto uomo da sinistra, Claude Stagg, proviene da Catalina nel Terranova in Canada.
Gran parte di loro sono quindi uomini emigrati negli Stati Uniti per una vita migliore.

Charles Ebbets continua la sua attività di fotografo spostandosi in Florida dove decide di vivere e lavorare per il resto della sua vita. Con le sue immagini favorisce lo sviluppo del turismo nella penisola e, grazie ad i suoi lavori sulle vaste distese naturali delle Everglades, instaura un forte legame con gli indiani Seminole tanto da poter documentare per la prima volta la loro vita, i loro villaggi e le loro tradizioni.
Per diciassette anni è capo fotografo della città di Miami ed è testimone della crescita della sua città.
Nel 1978 Ebbets muore di cancro a 72 anni con più di 300 immagini pubblicate a livello nazionale.
La foto del pranzo sul grattacielo è considerata una vera icona americana da più di 70 anni.


domenica 14 agosto 2011



Siamo a Princeton nel New Jersey, esattamente tra New York e Philadelphia.
E’ il 14 Marzo del 1951 all’uscita dell’università ed un fotografo della United Press International è in mezzo alla folla cercando di fotografare una macchina scura che esce dal cancello di ingresso.

Il fotografo si chiama Arthur Sasse e non è l’unico reporter quel giorno.
La stampa si è radunata all’università della città perché un celebre personaggio proprio quel giorno compie 72 anni. Si chiama Albert Einstein ed esattamente trent’anni prima ha ricevuto il premio Nobel per la fisica.

Einstein vive da sedici anni a Princeton e da undici è diventato ormai cittadino americano. E’ direttore della scuola di matematica all’Institude for Advanced Study.
Il giorno del suo compleanno Einstein è stanco. Dopo un’intera giornata trascorsa a sorridere ai fotografi non vede l’ora di tornare nella sua villa poco distante dal campus.
Viene accompagnato in macchina dal dottor Frank Aydelotte, capo del Institute for Advanced Study, e dalla signora Aydelotte, i quali lo aiutano a farsi spazio tra i giornalisti ed i curiosi ed infine si siedono di fianco a lui in macchina.
Arthur ha già scattato qualche foto al famoso fisico ma sa di poter fare di meglio; raggiunge la macchina e con sfacciataggine chiede: “Professore, sorrida per la foto del suo compleanno!"
Einstein lo accontenta ma come estremo gesto, prima di lasciare la folla, mostra al fotografo la lingua pensando probabilmente che non fosse abbastanza veloce.
Arthur Sasse, invece, è un lampo.

*

La foto originale mostra tutte e tre le persone in auto.
Il giorno seguente Einstein chiede nove copie della foto e ne spedisce una al giornalista Howard Smith con un messaggio in cui invita i mezzi di informazione ad essere indipendenti.
Ad Einstein la foto piace molto e la taglia in modo che si veda solamente la sua faccia.
Decide quindi di usarla come biglietto di auguri da inviare agli amici.

Col tempo la fotografia diventa una delle più popolari di Einstein e spesso viene utilizzata su poster, sticker e merchandising.
Il 19 giugno 2009, la fotografia originale viene venduta all'asta per 74.324 $.



martedì 2 agosto 2011

CASTEL DI IERI

perchè un paese in provincia di L'Aquila si chiama Castel di Ieri?




Siamo a Londra, è l’8 Agosto del 1969 ed è una di quelle rare giornate di sole a cui la capitale inglese non è abituata.
E’ circa mezzogiorno ed un fotografo di 31 anni si trova sopra una scala montata in mezzo ad una strada piuttosto trafficata a nord ovest della città.

Si chiama Iain Stewart Macmillan e viene dalla Scozia.
Frequenta la High School di Dundee e si diploma nel 1954.
Inizia a lavorare nel campo del Management presso la Jute Industries ma questa carriera convenzionale non fa per lui.
Nel 1958, a vent’anni, si trasferisce a Londra per studiare fotografia presso il Regent Street Polytechnic ed un anno dopo torna a Dundee per fotografare scene di strada.
Si laurea nel 1960 e come primo lavoro decide di imbarcarsi su navi da crociera per fare un po’ di esperienza. I primi lavori commissionati gli vengono dati poco dopo da riviste come The Sunday Times e Illustrated London News.

A metà degli anni ’60 Iain si specializza in fotografie per cataloghi d’arte e, dopo un paio di libri pubblicati, nel 1966 gli vengono affidate le fotografie per il catalogo “The Book of London”. In questa esposizione si fa conoscere un’eccentrica artista giapponese di Avant Garde. Si chiama Yoko Ono ed espone opere curiose come ad esempio una mela appesa con un cartello in cui c’è scritto “Mela”.
Il 9 Novembre 1966, all’inaugurazione della mostra presso la Indica Gallery, a Yoko Ono viene presentato John Lennon e quella stessa sera Yoko presenta Iain al leader dei Beatles.
Tre anni dopo John Lennon si ricorda di quel fotografo e lo contatta per proporgli la copertina del nuovo album dei Beatles.
I Beatles registravano la maggior parte della loro musica presso gli studi EMI in Abbey Road a Londra e quel disco decidono di intitolarlo come la strada.

I Beatles hanno già un’idea su come realizzare la copertina ed un paio di giorni prima dello shooting, a Iain viene dato uno schizzo di Paul McCartney per fargli capire ciò che avevano in testa.
Il giorno stabilito per le foto è l'8 agosto del 1969.
Solitamente i Beatles arrivano in studio dopo pranzo ma quel giorno, per evitare di incontrare i fans, vengono fatti arrivare verso le 11:00.
Un poliziotto viene assunto per controllare il traffico mentre i quattro musicisti devono solamente attraversare Abbey Road sulle strisce pedonali.
Sono le 11:30 e Iain è in bilico con la sua Hasselblad su una scaletta alta circa 2 metri nel mezzo di Abbey Road.
Mentre i Beatles attraversano avanti e indietro la carreggiata, Iain scatta sei fotografie.
Il quinto scatto è quello perfetto.

*

I quattro ragazzi hanno lo stesso passo con la falcata aperta e sono equidistanti tra loro.
Si intravedono tre uomini in fondo sulla sinistra e sono Alan Flanagan, Steve Millwood e Derek Seagrove, arredatori di ritorno dalla pausa pranzo. Sul lato destro invece, sotto l’ombra di un albero si trova Paul Cole, un turista americano.
Subito dopo il sesto scatto Iain va alla ricerca di un cartello stradale da fotografare per il retro della copertina. La foto viene scattata all’angolo tra Abbey Road e Alexandra Road e durante una delle esposizioni una ragazza con un vestito blu passa davanti alla scena. Iain si arrabbia molto ma più tardi viene scelto proprio questo scatto come cover posteriore.
Credo che il successo della foto sia la sua semplicità. Inoltre le persone possono relazionarsi con il luogo, è un posto reale dove ancora si può andare a camminare.

Ed è proprio così.
Quella di Abbey Road è una delle copertine più celebri e citate della storia della musica pop ed il passaggio pedonale è oggi una vera e propria attrazione turistica, con decine di visitatori che ogni giorno si mettono in posa per una foto ricordo.
La targa stradale Abbey Road inoltre è la più rubata del Regno Unito.

Iain Macmillan lavora ancora con John Lennon fino al 1971 realizzando le copertine per “Live Peace in Toronto”, “Some Time in New York City”, “Happy Xmas (War is Over)” mentre nel 1993 fotografa di nuovo Paul McCartney, accompagnato dal suo cane, sulle strisce pedonali di Abbey Road per la copertina di “Paul is Live”.
L'8 maggio 2006 all'età di 67 anni, Iain muore di cancro ai polmoni lasciando nell’immaginario della musica pop una delle icone più memorabili.



lunedì 1 agosto 2011

domenica 31 luglio 2011

martedì 26 luglio 2011




Siamo a L’Avana, Cuba. E’ il 5 Marzo 1960 e si svolgono i funerali per le ottantuno vittime dell'esplosione della nave francese La Coubre nel porto della capitale cubana.
Un ragazzo di 32 anni si muove sotto l’impalcatura allestita per l’evento e continua a fotografare chi interviene sul palco.

Questo fotografo si chiama Alberto Díaz Gutiérrez ed è nato a L’Avana il 14 Settembre del 1928 da una modesta famiglia di origine spagnola.
Il padre era un ferroviere e possedeva una Kodak 35mm con la quale il giovane Alberto incomincia a relazionarsi. I primi scatti sono ovviamente rivolti alla giovane fidanzata.

Dopo aver fatto diverse esperienze lavorative, Alberto entra in uno studio fotografico come assistente per poi aprire, pochi anni dopo, un piccolo studio in proprio.
Inizia a scattare foto ai banchetti, ai battesimi ed ai matrimoni. Offre un servizio velocissimo: dopo la cerimonia corre a sviluppare la pellicola per poi tornare alla manifestazione e vendere le sue fotografie come souvenir. La qualità del lavoro di Alberto è però piuttosto scarsa, utilizza materiali poveri e l’immagine, dopo pochi mesi, diventa sfuocata e ingiallita.

Nel 1953 Alberto ha 25 anni ed apre insieme all’amico Luis Pierce uno studio fotografico più professionale. La maggior parte dei lavori li svolge l’amico Luis, Alberto è più interessato alla moda perché gli permette di fondere le sue due cose preferite: la fotografia e le belle donne.
Negli anni Alberto diventa il primo fotografo di moda di tutta Cuba. E’ un maestro del bianco e nero; usando esclusivamente luce naturale crea composizioni ed inquadrature perfette. E’ sempre in contatto con bellissime donne cubane tanto da sposare, in seconde nozze, Natalia Menendez, famosissima modella nazionale.

Nel 1959 nasce il giornale della rivoluzione cubana Revolucion, il quale offre un grande spazio ai fotografi per mostrare le loro fotografie.
Alberto dice: “A trent’anni mi si stavo dirigendo verso una vita frivola e pericolosa quando un evento eccezionale ha trasformato la mia vita: la rivoluzione cubana. Fu in questo momento che scattai la foto di una bambina che stava stringendo un pezzo di legno come se fosse una sua bambola. Ho capito che valeva la pena dedicare il mio lavoro ad una rivoluzione che mirava a rimuovere le disuguaglianze."
Alberto decide così di seguire gli ideali della rivoluzione e inizia a collaborare con Revolucion.
In onore alla rivoluzione decide di usare il soprannome “Korda”, un omaggio al cineasta ungherese Alexandr Korda, il quale, a sua volta, era stato soprannominato così dai suoi compagni di scuola prendendo come riferimento la frase latina “Sursum corda, habemus ad Dominum”, “In alto I nostri cuori, sono rivolti al signore”.

Korda diventa lentamente il fotografo ufficiale della rivoluzione. Segue i leader nei loro spostamenti ed incomincia a fare amicizia con loro. Il rapporto con Fidel Castro è completamente alla pari, Korda lavora in modo rilassato senza sentire pressioni dall’alto.

Il 5 marzo 1960 Korda è un fotografo del quotidiano Revolución e quella mattina ha al collo una Leica M2 con un obiettivo da 90 mm e caricata con una pellicola Kodak Plus-X.
Dopo una marcia funebre percorsa sul lungomare, le maggiori rappresentanze si radunano intorno ad un palco per elogiare i caduti.
Sul palco sono presenti, tra gli altri, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Fidel Castro.
Korda fotografa tutti.
Sono le 11:20 e mentre il Comandante interviene con un discorso infuocato, Che Guevara, sofferente per un attacco di asma, arriva in ritardo, con il volto rabbuiato.
Due scatti veloci immortalano quel volto e quello sguardo.

*

Korda dice: “Nel momento in cui fotografai, ero colpito dall'espressione del volto di Ernesto. Mostrava implacabilità assoluta, così come rabbia e dolore.

Ernesto Che Guevara ha 31 anni. Oltre ad essere stato nominato Ministro dell’Industria nel nuovo governo, è un medico qualificato e proprio quella mattina ha dato una mano nell’ospedale dove sono ricoverati i feriti dell’esplosione.

Nel negativo originale a sinistra appare il profilo del giornalista argentino Jorge Ricardo Masetti Blanco (di origine bolognese), fondatore, ed allora direttore, della neonata agenzia giornalistica cubana Prensa Latina e, anni dopo, desaparecido in Argentina.
Per l’edizione del giorno successivo, il direttore del giornale Revolución decide però di pubblicare solamente gli scatti rappresentanti Castro, Sartre e Beauvoir, mentre la foto di Che Guevara viene scartata.
Credendo che l'immagine sia forte, Korda ne realizza una versione ritagliata ed ingrandita da appendere al muro accanto a un ritratto del poeta cileno Pablo Neruda.

L'immagine del Che rimane nello studio di Korda e resta sconosciuta al mondo per 7 anni.

Nel 1967 Giangiacomo Feltrinelli decide di andare in Bolivia sperando che la sua fama avrebbe aiutato a negoziare la liberazione del giornalista francese e professore Régis Debray. Debray era stato arrestato in Bolivia accusato di collaborare con la guerriglia guidata da Che Guevara.
Feltrinelli, nello stesso periodo, va a Cuba per acquisire i diritti del diario boliviano del Che avendo già in programma la pubblicazione.
Necessità dell’editore è anche quella di ottenere delle immagini di Che Guevara da poter stampare insieme al libro. I funzionari cubani lo mandano nello studio di Korda con una lettera di presentazione da parte del governo.
Quando Feltrinelli arriva nello studio di Korda, il fotografo non ha dubbi su quale ritratto dare all’editore. Vengono concordate ed ordinate due stampe e quando Feltrinelli torna il giorno dopo per ritirarle Korda gli dice che, essendo lui amico della rivoluzione, non le avrebbe pagate.
Al suo ritorno in Italia, Feltrinelli diffonde migliaia di copie del manifesto fotografico per sensibilizzare la precarietà della situazione del Che e la possibile morte imminente.
Più tardi, nel 1968, poco dopo la morte del Che, il Diario del Che in Bolivia con la foto di Korda sulla copertina viene pubblicato in tutto il mondo.

Korda non ha mai ricevuto alcuna royalty per l'immagine del “Guerrillero Heroico”, perché Castro non ha mai riconosciuto la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche.
Nel 2000 viene considerata dal Maryland Institute College of Art l'immagine simbolo del XX secolo mentre il Victoria and Albert Museum sostiene che sia la foto più riprodotta al mondo.

Nel 2001 Korda muore a Parigi stroncato da un infarto durante una sua mostra personale. Aveva 72 anni.

lunedì 27 giugno 2011




Siamo a New York nel 1967 nello studio di un giovane fotografo di 28 anni di nome Joel Brodsky.

Joel Lee Brodsky è nato a Brooklyn il 7 Ottobre 1939. I suoi genitori gestiscono una catena di negozi di calzature in città e lui, dopo il liceo, si iscrive alla Syracuse University dove incomincia ad interessarsi di fotografia.
Nel 1960 si laurea e trova lavoro in un negozio di macchine fotografiche a Brooklyn.
Dopo quattro anni si sposa e decide di aprire un’attività in proprio. Compra uno spazio a New York e vi allestisce uno studio fotografico.

Entra nel mondo della musica facendo un favore ad un amico. Pur di farsi conoscere, fare esperienza e farsi dei clienti, scatta delle foto all’allora sconosciuto cantante folk Eric Andersen, amico della moglie. Non si fa pagare ma si fa notare dalla casa discografica Vanguard con la quale il cantante aveva firmato un contratto.
Ben presto viene chiamato dall’etichetta Stax Records, per la quale fotografa diversi musicisti R&B e soul, e soprattutto dalla casa discografica progressista Elektra che da poco ha contattato un giovane gruppo musicale che si fa chiamare Doors.

Brodsky incomincia da subito a collaborare con questa giovane band e realizza uno scatto per la copertina posteriore del loro primo album omonimo. Subito dopo viene chiamato per realizzare la copertina, diventata poi celebre, del loro secondo album “Strange Days”. Questa rappresenta un circo che si esibisce per strada e ben comunica l'atmosfera psichedelica della band. I Doors ottengono fin da subito un grande successo per la loro poesia e le loro nuove sonorità ma la loro fama risiede soprattutto nell’aspetto affascinante del loro frontman Jim Morrison.
Il nome del fotografo Joel Brodsky inizia nel frattempo ad avere impatto positivo negli ambienti musicali e le sue foto sono una garanzia sia per i ritratti suggestivi sia per gli stimoli visivi. La Elektra chiede così di nuovo a Brodsky di realizzare dei semplici scatti promozionali dei Doors.

"La sessione iniziò normalmente. Stavamo facendo foto di gruppo e tutti erano molto collaborativi. Inizialmente sembrava che fossero un po' gelosi che Morrison era stato messo così in primo piano nelle foto, ma in fondo gli altri capivano che Jim era il sex symbol del gruppo ed era un punto di riferimento visivo per la band.
Dopo aver scattato un po’ di foto collettive, decisi di fare alcune foto ad ogni singolo componente, lasciando Morrison per ultimo. Sapevo che avrei dedicato più tempo a lui e non volevo che gli altri dovessero sedersi ad aspettare troppo a lungo.
Mentre tutto ciò accadeva, Jim incominciò a bere.
Nel momento di iniziare a fotografare Jim, ormai si era bevuto tre o quattro bottiglie di alcol, quindi era piuttosto sciolto e rilassato.”


*

La famosa foto viene scattata verso la fine.
Rappresenta Morrison in una posa messianica, a torso nudo e con una sottile collana al collo.

“Fu allora che, talmente ubriaco, inciampò nelle luci e cadde giù per la rampa di scale. L’ho visto in fondo ai gradini che si rialzava, chiamò l’ascensore e scese in strada.
Il giorno dopo li ho chiamati e ho chiesto se Jim ce l'aveva fatta e se era andato tutto bene. Loro mi dissero che non c’era da preoccuparsi, era così ogni notte.
Una settimana dopo, mandammo la foto al Village Voice. Dopo pochi giorni mi dissero che avevano ricevuto qualcosa come diecimila richieste per l'immagine.”


Con il tempo la foto viene soprannominata “la croce” e l’intera sessione fotografica “il giovane leone”. Viene poi utilizzata ufficialmente come immagine interna per il Greatest Hits del 1980.
Lentamente si trasforma in icona ed oramai si trova su magliette, murales e merchandising di ogni tipo.
Brodsky muore il primo Marzo 2007 a 67 anni per un attacco di cuore e durante il suo funerale la foto del giovane leone viene esposta ben visibile di fianco alla sua bara. Prima di morire dona la foto ad un’asta a favore di bambini vittime di abusi.

Morrison raramente era apparso bello come in quella fotografia e sicuramente il merito è di Joel Brodsky che riuscì a fotografare l’apice della carriera di Jim e trasformarlo in leggenda.